lunedì 12 dicembre 2011

Giulia Carnevali - Eutanasia, Biogenetica, Aborto: dibattiti senza fine



Sfogliando il giornale ci si imbatte quotidianamente in argomenti diversi  fra loro:alcuni si possono trattare in maniera disinteressata,altri invece colpiscono,insegnano a riflettere e ad esporre un’opinione.


E’ il caso dei tre grandi temi della bioetica che, per quanto appartengano alla stessa disciplina e facciano nascere dibattiti di diverso genere in tutto il mondo, affrontano problematiche differenti tra loro.


L’eutanasia, letteralmente “buona morte”, procura intenzionalmente la morte di un individuo la cui qualità della vita sia permanentemente  compromessa da una malattia o menomazione. Ne esistono varie definizioni, ma quella per cui si è aperto il dibattito politico e religioso è l’eutanasia volontaria, cioè la richiesta esplicita del soggetto che abbia ancora capacità di intendere e volere, o che abbia fatto il testamento biologico (o dichiarazione anticipata di trattamento).


Le principali ragioni a favore dell'eutanasia sono la libera scelta, per cui il cittadino deve essere libero di decidere di se stesso, la qualità della vita, poiché è il malato che deve scegliere se continuare a soffrire o meno (anche se esistono terapie contro il dolore) e la dignità:facendo decidere della propria sorte ad altre persone, il malato si riterrebbe incapace di prendere una decisione.


Invece,le ragioni che vanno contro questa pratica sono di tipo morale, poiché si pensa alla famiglia del malato, che desidera passare più tempo possibile con lui, alla possibilità di sperimentare nuove terapie allo scopo di risolvere il problema,o alle religioni,cristiana e non, che credono che questo atto sia peccaminoso.


In seguito ad una lettera di Piergiorgio Welby, copresidente di un’associazione  che si batte per il diritto dei malati a decidere della propria sorte e anch’egli affetto da distrofia muscolare, lettera inviata al presidente della Repubblica Napolitano, si è aperto un dibattito politico che si protrae ancora in questi anni  e che vede tre posizioni differenti sull’argomento: un’area contraria all’eutanasia, rappresentata soprattutto dagli esponenti della destra, un’area possibilista rappresentata dalla sinistra e un’area favorevole rappresentata dai liberali di  centro destra e sinistra. La chiesa cattolica, invece,è contraria a qualsiasi forma di eutanasia, ma ritiene accettabile l’uso di analgesici per trattare il dolore.


In Italia non esiste però ancora una legge vera e propria sull’eutanasia, ma abbiamo tre articoli del codice penale (artt. 575,579,580), che condannano mediamente da sei a quindici anni di reclusione chi la applica.


Un altro tema importante è l’aborto o interruzione di gravidanza: esso può avvenire spontaneamente o artificialmente. In Italia l’aborto artificiale è regolato dalla legge centonovantaquattro del codice penale, che consente l’aborto entro i primi novanta giorni di gestazione e solo nel caso in cui si verifichino malformazioni nel nascituro o gravi problemi psichici nella donna.


La chiesa cattolica è totalmente contraria all’aborto, perché ritiene la vita un dono di Dio all’uomo. Quindi, l’aborto è considerato dai cattolici un omicidio,un peccato mortale gravissimo, in quanto l’uomo si contrappone alla volontà di Dio.


Le tesi favorevoli alla legalizzazione dell’aborto sono sostenute invece dai “pro-choice”, i quali, pur non negando il valore della vita umana, affermano che la donna gravida debba poter esercitare, in determinati casi ed entro limiti fissati dalla leggi, il diritto a interrompere la gravidanza.


Inoltre, i “pro- choice” ritengono che l'embrione, almeno nelle prime settimane di gravidanza, non avendo ancora  sviluppato a sufficienza il sistema nervoso, non sia ancora un individuo autocosciente, e che dunque sia completamente differente, dal punto di vista biologico e ontologico, dall’essere umano.


La biogenetica,invece,è la scienza che deriva dalla genetica e studia i geni, l’ereditarietà e la variabilità genetica degli organismi. Essa compie vari esperimenti, tra i quali la clonazione e la fecondazione artificiale, in cui l’uomo ha fatto numerosi progressi.


La clonazione è la riproduzione di un organismo identico a un altro vivente,animale o vegetale. Il primo successo in questo campo è rappresentato dalla pecora Dolly, il primo mammifero clonato da una cellula somatica. Dopo il successo ottenuto con Dolly, molti altri mammiferi sono stati clonati e la clonazione è diventata un’opzione per salvare specie rare dall’estinzione.


Per quanto riguarda la fecondazione artificiale, si sono scoperte numerose maniere per rendere feconda un donna che non lo è o non ha un partner: alcune fanno impiantare il seme maschile in un’altra donna, altre invece si fanno cedere semi di uomini deceduti o anonimi, conservati nelle cosiddette”banche del seme”.


La fecondazione artificiale, dunque, se da un lato è da accogliere come un grande progresso dell’uomo, dall’altro costituisce un problema di ordine  morale, poiché il bambino che ne deriverà  potrebbe ritrovarsi senza un vero padre. E questo significa stravolgere la natura e dare luogo a legami innaturali.


In conclusione, tutti i temi qui presentati sono un esempio del progresso realizzato dall’uomo nel corso degli anni. In merito possono esistere dibattiti e pareri, ma è indubbio che ogni uomo ha il diritto di decidere della propria vita come meglio crede: il malato terminale della propria morte; la donna delle possibilità di diventare madre o di evitarlo.

giovedì 1 dicembre 2011

ALICE PIZZASEGOLA - Il bosco nella storia


Il bosco, luogo misterioso e affascinante, nel corso della storia ricoprì un ruolo importante nella vita dell’ uomo,e a seconda del periodo storico fu concepito in maniera differente.
Ritornando alle origini il bosco, fu un elemento essenziale per la sopravvivenza dell’ uomo primitivo. Qui egli trovava non solo un rifugio, ma anche una fonte di sostentamento,poiché vi poteva beneficiare dei frutti della terra e degli animali da cacciare.



Nell’antica Grecia, ad esempio, il bosco era visto nella sua dimensione sacrale e religiosa, in quanto in esso vivevano creature divine e leggendarie come i Satiri, le Ninfe, o veri e propri dèi, come Artemide, dea della caccia,  Ippolito ed Atlanta.



Che il bosco sia considerato un luogo inquietante si deduce poi dalla similitudine che Ulisse riferisce a Polifemo nell’ Odissea: “ era un mostro immenso, non somigliava ad un uomo che mangia pane, ma alla cima selvosa



di altissimi monti, che appare isolata dalla altre “ (trad. di G.A. Privitera - Odissea XI, vv. 181-192 ). Agli occhi di Odisseo e dell’ uomo comune, dunque, il gigante Polifemo appare un essere rozzo e isolato dalla civiltà. Questo paragone ci fa capire la visione greca del rapporto tra natura selvaggia e umanità civilizzata, in quanto il monte e la foresta rappresentavano l’esatto contrario della civiltà della polis.
Più tardi, anche i monaci circestensi e benedettini trovavano nella natura il filo conduttore per ritrovare Dio. Essi  individuavano nei  territori boschivi i luoghi ideali per dedicarsi alla preghiere e al lavoro. Il rispetto della natura e delle sue creature per loro  non significava soltanto osservarla in modo distaccato, ma anche utilizzarla a benificio della comunità, ricavandone legname cibo e altre risorse.
Altrettanto positiva è la visione di San Francesco, il quale trovò nella selva il luogo ideale in cui sentirsi vicino a Dio. Egli



infatti abbandonò ogni bene materiale e si ritirò nei boschi umbri, dove andò a cercare l’essenzialità della vita. Gli aspetti più sinceri del suo cristianesimo si sono trovati appunto  nel segno dell’amore di Dio. Un’ esempio di questo amore divino è l’ episodio del lupo di Gubbio: la tradizione francescana ci ha tramandato la vicenda di un feroce lupo che terrorizzava la città di Gubbio; l'intervento di Francesco consentì di concludere una sorta di patto di pace fra il lupo e la città, e l'animale depose la sua ferocia, mentre i cittadini si impegnarono a nutrirlo ogni giorno. Secondo la narrazione, il paese si legò così tanto all'animale che, quando questo morì, i cittadini se ne rattristarono profondamente.
Nel Medioevo il bosco assume tuttavia indiscutibilmente valore negativo. La foresta infatti veniva identificata come un luogo oscuro, misterioso e ostile all’ uomo; un luogo di smarrimento, dell’ignoto, dove non vi erano regole o norme comuni e dove l’ uomo risultava impotente. Anche nell’ ambito della nostra tradizione letteraria si possono fare diversi esempi della natura maligna del bosco. Il più immediato e lampante è la “ selva oscura “ della Divina commedia dantesca,



che è vista come emblema del peccato e  dello smarrimento morale,della tentazione e dell’ illusione.

L’ idea della selva come spazio che disorienta e illude si ripresenta più tardi anche in Ariosto: nell’ Orlando furioso, la foresta incantata si presenta come un vero e proprio labirinto, in cui i personaggi non riescono mai a trovare ciò che stanno affannosamente cercando.
Con l’ età pre-umanistica e umanistica la concezione negativa del bosco viene completamente ribaltata. Infatti, sempre rimanendo in ambito letterario, Francesco Petrarca vede nella natura un elemento centrale della sua esistenza. Nel Canzoniere possiamo trovare infatti numerosi versi in cui il poeta dichiara di trovare sollievo dal suo tormento amoroso nella natura, e spesso, oltre ad ambientare gli episodi narrati in luoghi naturali, egli associa i tratti fisici della sua amata ad elementi del paesaggio, come l’acqua, i rami o l’ erba. Anche altri intellettuali umanisti, basando i loro studi sull’osservazione diretta della natura, vedevano nel bosco uno spazio armonioso e incontaminato, pieno di vita.

Tra gli artisti, colui che rappresentò a pieno questo nuova concezione del mondo naturale fu il pittore Sandro Botticelli, il quale dipinse la Primavera. Venere è ivi rappresentata insieme agli altri personaggi in un boschetto ombroso e in piena armonia con l’ambiente circostante.
L'approccio razionale al concetto di bosco trovò espressione nel pieno Illuminismo. L'affermarsi della matematica e della geometria, nonché lo spirito razionalista che contraddistinse il ‘700, si manifestarono anche quando,  alla fine del secolo, nacquero le scienze forestali, che dovevano fare chiarezza sui misteri celati nella foresta,  sottoponendoli al controllo dell’uomo. La foresta perse però così il suo fascino, la sua magica suggestione.
Nel secolo successivo, vale a dire durante il Romanticismo, la natura assunse nuovamente una funzione anti-razionalista, diventando il luogo dell’ infinito, della ricerca, della contemplazione, in contrasto con la prosaicità e la corruzione della città e della società. Dinanzi alla foresta,



quindi, l’ uomo provava un senso di impotenza, perché sentiva

di non poterne controllare la forza.
Nel novembre del 1859, con la pubblicazione del saggio “L'origine della specie” di Darwin, la cultura tradizionale subì un duro colpo. In conseguenza delle nuove teorie, la foresta rischiò di perdere nuovamente il suo mistero e di essere spiegabile solo in termini matematici e scientifici.
Con lo sviluppo sociale e demografico, il bosco è ormai visto soprattutto come un’importante risorsa energetica, in quanto il legno può essere utilizzato come combustibile, come materiale edile e come materia prima per produrre la carta. Di qui il processo di disboscamento per cui gran numero delle foreste presenti sul nostro pianeta sono stata distrutte, e con esse le specie animali e vegetali che lì avevano creato il loro habitat . L’ uomo nel corso del tempo ha perso così il rispetto della natura, in quanto non considerata come essere vivente. Ciò è dimostrato dalla consistente urbanizzazione avvenuta nell’ età moderna, dove numerose foreste e boschi sono stati sostituiti da grandi metropoli e centri urbani.  Un esempio che dimostra questo triste evento ci viene descritto da Italo Calvino nel suo romanzo Marcovaldo ovvero le stagioni in città. Marcovaldo e i suoi figlioli, per  proteggersi dal freddo dell’inverno, sono costretti a cercare legna per la stufa, ma questa ricerca non avviene in un normale bosco; essi ricavano la legna dai cartelli situati sulla carreggiata dell’autostrada.
Come a dire che, se l’uomo non cambia la sua visione nei confronti della natura, le generazioni future vedranno solo boschi di cartelli stradali e non più di alberi.