venerdì 6 aprile 2012

Filippo Baietti, il bosco dei cavalieri del santo Graal in Italo Calvino

Italo Calvino, Il cavaliere inesistente

Nel VII capitolo del romanzo Il cavaliere inesistente di Italo Calvino si parla di un inquietante bosco nel momento in cui Agilulfo e Torrismondo discutono sulla verginità di Sofronia, perché il giovane cavaliere dice di essere suo figlio. Torrismondo sostiene infatti che Sofronia lo abbia concepito con uno dei cavalieri dell’Ordine del Santo Graal, poiché ella andava a giocare ogni giorno con loro nel fitto della foresta che circondava il castello in cui abitava, ed era stato appunto a causa di questi giochi fanciulleschi che, appena tredicenne, era rimasta incinta.

Il bosco a cui si riferisce questo flashback è un luogo cupo e tenebroso, dove vivono i cavalieri che, in una misteriosa relazione di magia con la selva, incutono paura e timore sia al lettore che al protagonista del brano, Torrismondo.

Tale foresta per i cavalieri del Santo Graal da un canto è un rifugio dove possono trovare le fonti necessarie per il sostentamento, dall'altro serve a fortificare la loro volontà di isolamento dal mondo, perché è il luogo ideale per dedicarsi alle preghiere, ma soprattutto per migliorare le proprie arti di combattimento. Tuttavia, siccome i cavalieri si dimostrano minacciosi, anche la selva pare cupa e ostile nei confronti di Torrismondo.

Massimiliano Petrasek-Caravaggio, Riposo durante la fuga in Egitto (1595-1596)



Nella storia dell’arte il paesaggio e in modo particolare il bosco hanno avuto una posizione rilevante, come si può notare nel quadro Riposo durante la fuga in Egitto di Caravaggio. In primo piano vi è la rappresentazione della sacra famiglia e dell’angelo: una scena semplice, intima, ma descritta con accurato realismo. Si notino ad esempio le penne nere delle ali dell’angelo e il pentagramma tenuto in mano da S Giuseppe. 



La nostra attenzione, però, si rivolge al boschetto, alle spalle dei personaggi: Caravaggio per la rappresentazione della natura che circonda la sacra famiglia ha usato colori autunnali; il boschetto sullo sfondo, con un laghetto appena accennato, contrasta con il verde fogliame posto in primo piano, su cui giace la Madonna con il bambino, qui rappresentata come una normale madre che, stanca del lungo viaggio, cerca di proteggere il suo bambino.
Infine, sempre inerente al bosco, quello che è da notare è il fatto che, oltre ai colori autunnali, un poco spenti, che contrastano con le tinte accese delle figure, il boschetto pare un luogo pacifico,  che con la sua natura accoglie e protegge la Sacra Famiglia.

Giulia Carnevali - Cervantes, Don Chisciotte (1605-1615)


Il protagonista della storia è un hidalgo spagnolo di nome Alonso Quijano, ossessionato dai romanzi cavallereschi,  ai quali si dedica nei momenti di ozio. La loro lettura lo appassiona  talmente, da trasportarlo in un mondo irreale e fantastico, in cui si trasforma in un cavaliere errante con la missione di difendere i deboli e di riparare i torti.
Alonso diventa così il cavaliere Don Chisciotte de la Mancha e inizia a girare tutta la Spagna con il suo cavallo un po’ malandato. Nella sua follia, trascina con sé un contadino del luogo, Sancho Panza, al quale promette il governo di un’isola, a patto che gli faccia da scudiero.
«..a questo punto soffiò un po’ di vento e le grandi pale cominciarono a muoversi e Don Chisciotte disse, vedendo ciò: quand’anche muoviate più braccia del gigante Briareo,me la pagherete!..»
Ormai immedesimato nella figura di un valoroso cavaliere, l’hidalgo spagnolo è talmente immerso nelle sue visioni, da arrivare al punto di scambiare i mulini a vento per grossi giganti da sconfiggere; allo stesso modo, egli idealizza anche il paesaggio intorno a lui, e scambia per boschi intricati e folti luoghi di campagna in realtà un po’ aridi, e solo con qualche cespuglio qua e là, quali sono quelli tipici dell’altopiano di Castiglia nella Mancha, situata nel centro della Spagna.
Dunque, i luoghi descritti in questo romanzo possono essere contrapposti ai loci amoeni dell’Aminta di Tasso o al bosco dell’Orlando Furioso, poiché mentre questi sono completamente frutto dell'immaginazione degli autori, quelli del Don Chisciotte sono sì snaturati dall’immaginazione del personaggio principale, ma pur sempre ispirati a una realtà storica concreta.

lunedì 2 aprile 2012

Alice Massi - La selva dei suicidi


 Il Canto XIII dell’Inferno di Dante Alighieri (1307 circa)


Nel canto XIII dell'Inferno, Dante e Virgilio giungono in una selva intricata e oscura, in cui non si scorge alcun sentiero. Gli alberi del bosco hanno foglie scure, rami nodosi e contorti e non hanno frutti ma spine velenose. Tra rovi così pungenti, afferma Dante, vivono le Arpie, mostri semiumani che, appollaiati sugli alberi, emettono orribili lamenti. In questo bosco cupo e ostile, risuonano lamenti e gemiti, ma non si vede chi li emetta. Dante strappa un ramo da una pianta, e vede uscire sangue scuro, mentre risuona una voce gracchiante, affaticata: la selva in cui si trova il poeta è infatti la selva dei suicidi, che sono qui trasformati in piante per l’eternità. Il bosco, oscuro e inquietante, è poi percorso da cagne nere, affamate e veloci, che rincorrono gli scialacquatori e spezzano i rami delle piante, aggravando le pene dei suicidi.




In questo canto Dante propone un’immagine della selva come luogo di dolore e sofferenza, ma anche di grande inquietudine. E’ un posto disabitato e isolato, come testimonia l’assenza di un sentiero, ma è al contempo spaventoso e agghiacciante, in particolare per i rumori sinistri che vi risuonano e per le piante che versano sangue marcio, nero. La negatività del bosco è espressa dalla triplice anafora nella seconda terzina, costruita con frasi antitetiche: “Non fronda verde, ma di color fosco, non rami schietti, ma nodosi e ‘nvolti, non pomi v’eran, ma stecchi con tòsco”. Il bosco che descrive Dante è un vero e proprio locus horridus, spaventoso e innaturale. Tre sono i particolari che mostrano l’innaturalezza del bosco: l’assenza di un sentiero, i gemiti e i lamenti, la presenza delle Arpie e delle cagne. Questo locus horridus, che Dante riprende dal celebre episodio di Polidoro narrato da Virgilio nell’Eneide (canto III), assume qui però un significato allegorico cristiano: la selva diventa simbolo dell’anima priva della luce di Dio, del traviamento e del disordine morale. In Dante poi, l’intervento del meraviglioso, a differenza che nell’Eneide, è sostenuto da un rigoroso concetto morale: con il suicidio l’uomo ha rifiutato il corpo, che è stato creato da Dio, il quale per questo lo trasforma in una creatura arborea e innaturale.

Michele Gandolfi - Il bosco dell’Aminta (1573)


Nell’Aminta di Torquato Tasso, così come in tutti i poemi pastorali precedenti e successivi, le scene che narrano l’amore del pastore Aminta per la ninfa Silvia si svolgono all’interno di un “locus amoenus”: un bosco dove la natura vive incontaminata e in perfetta sintonia con l’uomo; un bosco rigoglioso, pieno di alberi e prati fioriti, che rimanda alla tradizione dell’età aurea, ormai perduta dagli uomini, in cui si viveva serenamente.
L’unica legge che vige all’interno di questo luogo ideale è quella della natura, dedita all’amore e che invita ad esso, come suggerisce il motto “S'ei piace, ei lice", ovvero "Se ti piace, è lecito”.

Sofia Di Sarno,Martine Giuliani,Elisa Monari,Lucrezia Serra,Elena Tenti - Boschi dal Medioevo ad oggi (2)


Il bosco di Nastagio degli Onesti (1351)

Nella celebre novella del Decameron, la selva di Classe incornicia le vicende, che vedono come protagonista un giovane ragazzo della borghesia di Ravenna. Solitamente, nella tradizione medievale, le storie erano racchiuse da un luogo subito rappresentato totalmente ostile oppure accogliente: in questo racconto, invece, la barriera tra “locus amoenus” e ”locus horridus” è molto labile. All’inizio, infatti, il bosco è un elemento positivo di pace, tranquillità e di evasione; ma verso la metà della novella, quando il ragazzo vede la scena infernale, il bosco comincia a mutare e diventa il luogo perfetto per tramare malvagi pensieri.
In verità, in questo episodio non si capisce se il bosco è veramente un elemento in continua mutazione, oppure se è frutto di uno sguardo alterato dalla follia d’amore e dalla solitudine. Certamente, però, la cornice della selva gioca un ruolo molto importante, perché essa è la mediatrice dei pensieri e sentimenti non solo del protagonista, ma indirettamente anche del lettore.

Concerto campestre (1510 circa)


È un'opera sicuramente dipinta da Tiziano Vecellio, anche se sono stati avanzati dubbi sul fatto che possa essere di Giorgione. Quest’ultimo, però, non avrebbe mai rappresentato in questo modo corpi di donne nudi; quindi, si può affermare quasi con certezza che il quadro sia di Tiziano, che comunque riprende una tematica cara al mondo di Giorgione.
Infatti, è questo il primo quadro di Tiziano in cui il ruolo del paesaggio è sostanziale. In questo paesaggio agreste sono presenti quattro soggetti: due donne nude, una che versa dell’acqua e un’altra, seduta su un drappo bianco, che suona il flauto, accompagnando il giovane di fronte a lei, che suona il liuto, seduto di fianco ad un altro uomo. Il panorama del bosco è determinante per precisare l'equilibrato rapporto fra natura e uomo. Alcuni critici sostengono infatti che le due donne nude siano delle allegorie, ovvero che siano in realtà due ninfe, che personificherebbero appunto lo spirito della natura. I due uomini invece, essendo vestiti, fanno parte della cultura e dell’epoca di quel tempo, e non guardano le due ninfe, come se non potessero vederle. La ninfa seduta ha in mano un flauto, e ciò significa forse che la musica, intesa come capacità di creare armonie e melodie, appartiene alla natura.
Il quadro è quindi una metafora della musica, rappresentata dagli uomini che suonano e dono che ci dà la natura, raffigurata invece dalle due ninfe.

La selva di Saron (1575)

La selva di Saron è descritta nella Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso, ed è il luogo dove i cristiani si recano per prendere la legna. La selva è però sotto l’incantesimo di Ismeno, un mago malefico che la popola di demoni. Perciò, i cavalieri di Goffredo di Buglione, una volta arrivati nella selva, scappano impauriti, perché vi sentono rumori strani e spaventosi.
Infine, Tancredi si reca nella selva e, con coraggio, percuote con la spada un cipresso, dal quale esce la voce di Clorinda. Secondo questa voce, lo spirito della donna amata, uccisa da Tancredi per errore in duello, si trova all’interno dell’albero: in realtà, si tratta solo di un’illusione della malefica magia di Ismeno.
La selva incantata è dunque costituita da alberi e piante di ogni genere, in cui i cavalieri rivedono i propri tormenti e le angosce che  turbano le loro menti. Viene descritta come un “locus horridus”, un luogo spaventoso, fonte di ostacoli e di terrore per chi vi entra. Il “locus horridus” si contrappone al “locus amoenus”, ovvero il luogo luminoso, in cui regna la serenità e in cui gli uomini possono abbandonarsi ai propri piaceri.
Infine, la selva rappresenta il luogo della seduzione e della dispersione, dovute a tutti gli ostacoli che la natura contrappone al compimento dell’impresa.

La foresta di Macbeth (1605circa)                                                                                       

La tragedia di Shakespeare Macbeth è ambientata in Scozia, e narra la storia di Macbeth, potente generale, e del suo declino, causato dalla moglie e dalla sua voglia di potere. Il sovrannaturale è presente sin dall'inizio dell'opera, quando al protagonista si presentano tre streghe, che gli profetizzano il suo futuro e gli predicono che diventerà re di Scozia al posto di re Duncan.
Il bosco in questione non è un vero e proprio bosco, ma è costituito dall'esercito dei “buoni”, guidato da Macduff e Malcom, che si travestono con rami e marciano contro il castello di Macbeth. Questo crea terrore in Macbeth, proprio perché la visione della foresta che si muove è talmente sovrannaturale, da portarlo ad impazzire. In tale senso, la foresta è anche in questo testo luogo del soprannaturale, proprio come in molte opere letterarie di tutta Europa.
   

Caperucita en Manhattan (1990)

In questo romanzo, Martin Gaite riscrive la storia di Cappuccetto Rosso a noi tutti nota, ambientandola ai giorni nostri, e prendendo come protagonista la piccola Sara Allen, una bambina di dieci anni vivace e sognatrice. Sara intraprende un viaggio per andare a trovare la sua adorata nonna, ma non più in un bosco vero e proprio, come lo intendevano Perrault o i fratelli Grimm nelle prime versioni della storia, ma nel “bosco” simbolico di Brooklyn. E in effetti, se mai una ragazzina si trovasse a fare un percorso da sola e ad affrontare delle insidie al giorno d’oggi, quale miglior posto di una città piena di vita e caos? Da un canto, il bosco di Brooklyn presenta molte novità che incuriosiscono e rendono felice Sara, in una scena che riproduce quella di Cappuccetto Rosso che raccoglie i fiori e saltella felice sul sentiero che la porterà dalla sua nonna. D’altra parte, vi sono anche molte insidie, come Mr. Wolf , proprietario di una pasticceria pronto a tutto pur di riuscire nel suo intento di diventare sempre più ricco, il quale inganna la bambina per arrivare prima a casa della nonna e rubarle la ricetta della torta.
Possiamo inoltre aggiungere che il racconto è sì ambientato a New York, ma del resto Central Park è un luogo ottimale dove ricreare un bosco.

domenica 1 aprile 2012

Melissa Desiderio,Eleonora Ferri,Faatma Jendoubi,Vittoria Torresani,Elena Vivit-Boschi dal Medioevo a oggi



La selva di Dante: Inferno I (1307circa)


Nel primo canto della Divina Commedia di Dante è descritta la selva oscura nella quale si addentra il poeta, simbolo della corruzione e del peccato. Egli nel mezzo del cammin di nostra vita prende consapevolezza della condizione negativa in cui è entrato quasi inconsapevolmente, e che è anche la condizione di corruzione dell'intera umanità.
Nel periodo in cui scrisse l'opera, l'Alighieri viveva un momento di crisi: la Divina commedia rappresenta appunto un cammino di purificazione per lui e per tutta l'umanità.
Questa selva appare così amara che la morte è una cosa appena peggiore. Durante il suo cammino attraverso la selva, Dante incontra tre belve, che raffigurano per allegoria i tre peccati più gravi: incontinenza, violenza e frode. Dopo l’incontro con le tre belve, Dante vede accorrere in suo aiuto Virgilio, il quale rappresenta la ragione umana e quindi la via della salvezza, poiché lo condurrà attraverso tutto l’Inferno e  il Purgatorio.
La selva è un bosco fitto, esteso, buio (cosa che richiama la morte); è popolata da animali feroci e il pericolo vi è sempre in agguato. Non vi sono sentieri né percorsi segnati: è quindi un luogo privo di certezze.
Questa visione negativa della selva come locus horridus richiama alla mente una situazione da cui è difficile uscire sia fisicamente che psicologicamente. Nella selva penetra infatti con difficoltà la luce, simbolo di vita. Contrapposto alla selva è il luogo aperto, illuminato dal sole, che è invece rassicurante, perché consente l'orientamento.


La Tempesta di Giorgione (1505-1508 circa)




La tempesta di Giorgione , uno dei quadri più famosi del Cinquecento, è un dipinto olio su tela databile al 1505 circa e conservato nelle Gallerie dell’Accademia a Venezia.
La novità consiste nell’indagine del paesaggio e della meteorologia. I personaggi sono assorti, non c'è dialogo fra loro, e sono divisi da un ruscelletto. Sullo sfondo, invece, si nota un fiume che costeggia una città, passando sotto un ponte.
La natura rappresentata assume un ruolo centrale: il cielo è livido e nuvoloso, fortemente scuro, derivato da Leonardo Da Vinci, ed è trafitto da un lampo luminoso che si abbatte sul paese, secondo un'iconografia che compare qui per la prima volta nella storia artistica.
È un’immagine molto naturalistica, ma anche magica e misteriosa, in cui viene rappresentata una vegetazione che fa da cornice all’architettura; tale vegetazione non è ricca e folta, ma alberi e cespugli sono disposti vicino agli altri elementi compositivi.
Ciò che di più cattura la nostra attenzione sono i due alberi, tipici dell’Italia Centrale, posizionati rispettivamente quasi alle estremità del quadro.

La fuga di Angelica nell'Orlando Furioso (1532)

(L. Ariosto, Orlando Furioso, canto I)


Angelica fugge fra boschi spaventosi e bui, per luoghi inabitati, solitari e selvaggi. Il sentir muoversi le fronde degli alberi l'ha impaurita e ad ogni ombra che vede teme sempre di essere inseguita. Fugge da ogni animale e sospettosa trema di paura: e a ogni ramo che tocca passando, crede di cadere nelle fauci della bestia feroce. Vaga giorno e notte, finché si ritrova in un bosco leggiadro, leggermente mosso da un vento fresco. Qui le sembra di essere al sicuro e decide di riposarsi un po'.
Il bosco in cui fugge Angelica, dunque, è un luogo che le incute timore e paura; forse molto simile a quello dove fugge Biancaneve, per esempio: qui ogni cosa può sembrare qualcosa di pericoloso solamente per frutto dell'immaginazione. Tuttavia, il giorno seguente Angelica si ritrova in una parte del bosco ben diversa: la selva si presenta ora soleggiata, attraversata da due dolci ruscelli che con il loro lento scorrere diffondono un'armonia dolce da ascoltare. Qui Angelica non ha nulla da temere, e si lascia cadere sull'erba per riposarsi dal lungo vagabondare a cui è stata costretta.


D. Buzzati, Il segreto del Bosco Vecchio (1935)

Il luogo dove è ambientata la storia è il Bosco Vecchio, una foresta irreale ed immaginaria, popolata dai geni, creature benevole che risiedono all'interno dei tronchi e soffrono a causa del continuo taglio degli alberi. In questo bosco ogni elemento naturale ha la propria anima: esso è un luogo ricco di odori, colori, suoni, in cui si possono sentire parlare i fiumi, gli alberi, le foglie, gli uccelli, il vento, e in cui tutto è animato e magico.
Grazie alle minuziose descrizioni dell'autore, capiamo che il bosco è un luogo che può essere veramente apprezzato e compreso unicamente dai bambini. Essi, grazie alla loro fantasia e alla loro innocenza, riescono a cogliere fino in fondo i segreti della natura. Gli adulti, invece, come l'ex colonnello Procolo, personaggio severo, freddo e povero d'animo, non possono comprendere la natura del bosco.
In questo libro, è evidente l'intento dell'autore di trasmettere un messaggio importante: la natura va sempre rispettata, e viene quindi condannato il fenomeno della deforestazione e della distruzione violenta delle foreste in tutto il mondo.

Italo Calvino, Il bosco sull’autostrada (1963)

Il racconto "il bosco sull'autostrada" è tratto dal libro Marcovaldo ovvero Le stagioni in città di Italo Calvino.
A casa di Marcovaldo è finita la legna e la famiglia cerca di riscaldarsi con la poca rimasta. Marcovaldo decide così di andare a legna, anche se sa che in città è difficile trovarne. Intanto uno dei suoi figli, Michelino, legge un libro di fiabe, nel quale si parla del figlio di un falegname che usciva con un'accetta e andava nel bosco a fare legna. Così Michelino e i suoi fratelli capiscono che bisogna dirigersi proprio lì, nel bosco, anche se, abitando in città, nessuno sa esattamente come sia fatto. I bambini decidono di uscire lo stesso e durante il loro percorso vedono solo case e la strada che, piano piano, si trasforma in autostrada. Ai lati di essa, i bambini trovano il loro bosco, dai tronchi fini, diritti o obliqui, con chiome piatte e estese, e dalle forme più strane e dai colori più originali: ma questi "alberi" non sono altro che cartelloni pubblicitari.
Il racconto di Calvino vuole quindi farci capire come chi viva e cresca in città non conosca a pieno e in profondità la natura, non avendo l'opportunità di stare a contatto con essa. Nel brano c'è perciò un contrasto tra il valore positivo della natura e quello negativo della vita nelle città dei nostri giorni. Viene così messo in risalto il rapporto natura-città e, con esso, l’autore vuol farci capire quanto, ormai, la natura sia stravolta dalle città industriali. Nel racconto di Calvino, infatti, non si parla di un vero bosco, ma di uno spazio artificiale, con il quale tuttavia veniamo a contatto più spesso di quanto non ci capiti con la natura.