domenica 1 aprile 2012

Melissa Desiderio,Eleonora Ferri,Faatma Jendoubi,Vittoria Torresani,Elena Vivit-Boschi dal Medioevo a oggi



La selva di Dante: Inferno I (1307circa)


Nel primo canto della Divina Commedia di Dante è descritta la selva oscura nella quale si addentra il poeta, simbolo della corruzione e del peccato. Egli nel mezzo del cammin di nostra vita prende consapevolezza della condizione negativa in cui è entrato quasi inconsapevolmente, e che è anche la condizione di corruzione dell'intera umanità.
Nel periodo in cui scrisse l'opera, l'Alighieri viveva un momento di crisi: la Divina commedia rappresenta appunto un cammino di purificazione per lui e per tutta l'umanità.
Questa selva appare così amara che la morte è una cosa appena peggiore. Durante il suo cammino attraverso la selva, Dante incontra tre belve, che raffigurano per allegoria i tre peccati più gravi: incontinenza, violenza e frode. Dopo l’incontro con le tre belve, Dante vede accorrere in suo aiuto Virgilio, il quale rappresenta la ragione umana e quindi la via della salvezza, poiché lo condurrà attraverso tutto l’Inferno e  il Purgatorio.
La selva è un bosco fitto, esteso, buio (cosa che richiama la morte); è popolata da animali feroci e il pericolo vi è sempre in agguato. Non vi sono sentieri né percorsi segnati: è quindi un luogo privo di certezze.
Questa visione negativa della selva come locus horridus richiama alla mente una situazione da cui è difficile uscire sia fisicamente che psicologicamente. Nella selva penetra infatti con difficoltà la luce, simbolo di vita. Contrapposto alla selva è il luogo aperto, illuminato dal sole, che è invece rassicurante, perché consente l'orientamento.


La Tempesta di Giorgione (1505-1508 circa)




La tempesta di Giorgione , uno dei quadri più famosi del Cinquecento, è un dipinto olio su tela databile al 1505 circa e conservato nelle Gallerie dell’Accademia a Venezia.
La novità consiste nell’indagine del paesaggio e della meteorologia. I personaggi sono assorti, non c'è dialogo fra loro, e sono divisi da un ruscelletto. Sullo sfondo, invece, si nota un fiume che costeggia una città, passando sotto un ponte.
La natura rappresentata assume un ruolo centrale: il cielo è livido e nuvoloso, fortemente scuro, derivato da Leonardo Da Vinci, ed è trafitto da un lampo luminoso che si abbatte sul paese, secondo un'iconografia che compare qui per la prima volta nella storia artistica.
È un’immagine molto naturalistica, ma anche magica e misteriosa, in cui viene rappresentata una vegetazione che fa da cornice all’architettura; tale vegetazione non è ricca e folta, ma alberi e cespugli sono disposti vicino agli altri elementi compositivi.
Ciò che di più cattura la nostra attenzione sono i due alberi, tipici dell’Italia Centrale, posizionati rispettivamente quasi alle estremità del quadro.

La fuga di Angelica nell'Orlando Furioso (1532)

(L. Ariosto, Orlando Furioso, canto I)


Angelica fugge fra boschi spaventosi e bui, per luoghi inabitati, solitari e selvaggi. Il sentir muoversi le fronde degli alberi l'ha impaurita e ad ogni ombra che vede teme sempre di essere inseguita. Fugge da ogni animale e sospettosa trema di paura: e a ogni ramo che tocca passando, crede di cadere nelle fauci della bestia feroce. Vaga giorno e notte, finché si ritrova in un bosco leggiadro, leggermente mosso da un vento fresco. Qui le sembra di essere al sicuro e decide di riposarsi un po'.
Il bosco in cui fugge Angelica, dunque, è un luogo che le incute timore e paura; forse molto simile a quello dove fugge Biancaneve, per esempio: qui ogni cosa può sembrare qualcosa di pericoloso solamente per frutto dell'immaginazione. Tuttavia, il giorno seguente Angelica si ritrova in una parte del bosco ben diversa: la selva si presenta ora soleggiata, attraversata da due dolci ruscelli che con il loro lento scorrere diffondono un'armonia dolce da ascoltare. Qui Angelica non ha nulla da temere, e si lascia cadere sull'erba per riposarsi dal lungo vagabondare a cui è stata costretta.


D. Buzzati, Il segreto del Bosco Vecchio (1935)

Il luogo dove è ambientata la storia è il Bosco Vecchio, una foresta irreale ed immaginaria, popolata dai geni, creature benevole che risiedono all'interno dei tronchi e soffrono a causa del continuo taglio degli alberi. In questo bosco ogni elemento naturale ha la propria anima: esso è un luogo ricco di odori, colori, suoni, in cui si possono sentire parlare i fiumi, gli alberi, le foglie, gli uccelli, il vento, e in cui tutto è animato e magico.
Grazie alle minuziose descrizioni dell'autore, capiamo che il bosco è un luogo che può essere veramente apprezzato e compreso unicamente dai bambini. Essi, grazie alla loro fantasia e alla loro innocenza, riescono a cogliere fino in fondo i segreti della natura. Gli adulti, invece, come l'ex colonnello Procolo, personaggio severo, freddo e povero d'animo, non possono comprendere la natura del bosco.
In questo libro, è evidente l'intento dell'autore di trasmettere un messaggio importante: la natura va sempre rispettata, e viene quindi condannato il fenomeno della deforestazione e della distruzione violenta delle foreste in tutto il mondo.

Italo Calvino, Il bosco sull’autostrada (1963)

Il racconto "il bosco sull'autostrada" è tratto dal libro Marcovaldo ovvero Le stagioni in città di Italo Calvino.
A casa di Marcovaldo è finita la legna e la famiglia cerca di riscaldarsi con la poca rimasta. Marcovaldo decide così di andare a legna, anche se sa che in città è difficile trovarne. Intanto uno dei suoi figli, Michelino, legge un libro di fiabe, nel quale si parla del figlio di un falegname che usciva con un'accetta e andava nel bosco a fare legna. Così Michelino e i suoi fratelli capiscono che bisogna dirigersi proprio lì, nel bosco, anche se, abitando in città, nessuno sa esattamente come sia fatto. I bambini decidono di uscire lo stesso e durante il loro percorso vedono solo case e la strada che, piano piano, si trasforma in autostrada. Ai lati di essa, i bambini trovano il loro bosco, dai tronchi fini, diritti o obliqui, con chiome piatte e estese, e dalle forme più strane e dai colori più originali: ma questi "alberi" non sono altro che cartelloni pubblicitari.
Il racconto di Calvino vuole quindi farci capire come chi viva e cresca in città non conosca a pieno e in profondità la natura, non avendo l'opportunità di stare a contatto con essa. Nel brano c'è perciò un contrasto tra il valore positivo della natura e quello negativo della vita nelle città dei nostri giorni. Viene così messo in risalto il rapporto natura-città e, con esso, l’autore vuol farci capire quanto, ormai, la natura sia stravolta dalle città industriali. Nel racconto di Calvino, infatti, non si parla di un vero bosco, ma di uno spazio artificiale, con il quale tuttavia veniamo a contatto più spesso di quanto non ci capiti con la natura. 

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