giovedì 26 aprile 2012

ELISA MONARI - da Un infinito numero di Sebastiano Vassalli: antologia



La città cogli occhi di un bambino

Nelle prime pagine del libro Un infinito numero di Sebastiano Vassalli, Timodemo descrive la città di Nauplia in cui vive, e in un primo momento essa sembra quasi una città ideale, in cui le persone vivono in serenità e armonia. A Nauplia, infatti, le finestre delle case sono dipinte con i colori dell’arcobaleno, non piove mai e c’è sempre il sole.
Per Timodemo, a Nauplia i bambini sono come i cani: l’unica eccezione sta nel fatto che questi ultimi non hanno un posto dove trascorrere la notte, a differenza dei bambini, che dormono in un letto caldo nelle loro camere.
Timodemo, inoltre, descrive la maniera in cui le donne si agitano e urlano quando cade in mare un bambino e muore annegato. Si tratta di un’immagine che difficilmente si trova descritta nei libri quando l’autore vuole presentare una città. A Nauplia succede anche questo, e il narratore vuole mostrare, oltre agli aspetti positivi, anche gli eventi drammatici che accadono.
Infine, viene presentata la madre, Pasitea: una donna che si occupa del figlio senza avere un marito e che, per vivere e mantenere il figlio, fa la prostituta. Timodemo dice che gli uomini che vengono a casa sua sono sempre diversi e che le portano ogni volta indumenti o cibo, si sdraiano sul letto e ogni tanto lo prendono in braccio. Man mano che la narrazione prosegue, Timodemo entra sempre più nello specifico e nel dettaglio: dalla descrizione della città di Napulia, a quella dei bambini, fino ad arrivare alla descrizione della madre, del suo lavoro e del suo aspetto fisico.

“Mi chiamo Timodemo e sono nato in Grecia, in una piccola città di nome Nauplia, a poche miglia da Argo. Nauplia è il nome di un borgo in riva al mare; e io, quando vado indietro con la memoria fino ai giorni della mia infanzia, rivedo una strada che scende verso una spiaggia piena di scogli, e un grappolo di case imbiancate a calce, con le porte e le finestre verniciate nei colori dell'arcobaleno: il rosso, il giallo, l'azzurro, il viola, il verde smeraldo... Anche le barche dei pescatori che ci sono giù al porto sono dipinte con gli stessi colori e, in più, mostrano sulle fiancate immagini di draghi, di arpie, di divinità infernali o celesti. In quel posto c'è sempre il sole, e non piove mai. (Io, almeno, non ricordo di aver visto piovere).
Ci sono molti bambini e molti cani che gironzolano da una casa all'altra e poi ritornano sul molo del porto, i bambini per giocare tra le reti e le barche tirate in secco, e i cani per disputarsi qualche carogna di gabbiano o per stendersi al sole. Ogni tanto si sentono delle grida e si vedono delle donne che corrono verso gli scogli, dove altre donne scarmigliate indicano un punto nell'acqua: "È lì! No, è lì!" Queste cose succedono quando cade in mare un bambino; ma, in genere, nel momento in cui le donne gridano non c'è più niente da fare, perché il bambino, dopo aver annaspato per un tempo ragionevole, è andato sott'acqua. I bambini, a Nauplia, sono poco più numerosi e poco meno randagi dei cani. L'unica differenza fra le due tribù, quella dei bambini e quella dei cani, è data dal fatto che i cani, di notte, dormono dove capita, mentre i bambini dormono dentro alle case. Quasi tutti (bambini e cani) hanno dei genitori.
Io ho una madre, Pasitea, con due poppe grandi ciascuna come la mia testa, e i capelli neri tenuti sciolti che le arrivano fino in vita. Attorno a mia madre ci sono uomini sempre diversi che le portano roba da mangiare o vestiti, si sdraiano sul suo letto e qualche volta prendono in braccio anche me”.

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